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Apr, 2020
Fase 2, quali attività riaprono dal 4 maggio, e con quale protocollo anticontagio
L’elenco delle imprese che potranno rialzare la serranda e inaugurare la seconda parte del piano di ripresa di Conte di trovano nell’allegato 3 del dpcm del 26 aprile (vd allegato).
La riapertura, però, ha reso indispensabile l’aggiornamento del Protocollo anti contagio nei luoghi di lavoro.
Il nuovo Protocollo ed il documento tecnico elaborato dall’INAIL recano una inedita mappatura delle attività produttive ai fini della valutazione integrata del rischio sulla base di tre diversi parametri e recano indicazioni di carattere generale finalizzate all’individuazione di misure di prevenzione e sicurezza e di carattere organizzativo volte a prevenire il contagio e la sua diffusione negli ambienti di lavoro.
È interessante rilevare come entrambi i documenti paiano in più punti ritenere, seppur implicitamente, che il rischio da contagio di COVID-19 – benché ancora indicato come “rischio biologico generico” nel Protocollo del 24 aprile come nel suo predecessore del 14 marzo – rappresenti un rischio da tenere in considerazione nell’elaborazione del documento unico di valutazione dei rischi di cui agli artt. 17 e 28 DLgs. 81/2008.
È significativa, al riguardo, la precisazione, aggiunta nel Protocollo siglato il 24/04/2020, secondo cui “nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro sulla base del complesso dei rischi valutati e, a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda, si adotteranno i DPI idonei”. Il documento tecnico diffuso dall’INAIL precisa al riguardo che “C’è la necessità di adottare una serie di azioni che vanno a integrare il documento di valutazione dei rischi (DVR) atte a prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia”.
Il Protocollo introduce disposizioni specifiche per l’ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi al virus, richiedendosi la documentazione attestante la “avvenuta negativizzazione” del tampone rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza.
Come già il suo predecessore di marzo, il Protocollo – a differenza del documento dell’INAIL, che pare prevedere un obbligo in tal senso – ribadisce la facoltà del datore di lavoro di rilevare la temperatura corporea all’atto dell’ingresso in azienda del lavoratore e reca altresì la prescrizione del mantenimento della distanza interpersonale di almeno un metro nei luoghi di lavoro (con obbligo di utilizzo, altrimenti, della mascherina e di altri dispositivi di protezione). Viene inoltre introdotta, sulla scorta di quanto disposto nel documento dell’INAIL, la previsione dell’utilizzo di una mascherina chirurgica per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni.
Quanto alle misure di carattere organizzativo, il Protocollo sottolinea l’importanza del ricorso al “lavoro a distanza” in fase di riapertura delle attività lavorative, sottolineando altresì la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività .
Sia il Protocollo sia il documento dell’INAIL pongono particolare attenzione alla sorveglianza sanitaria, prevedendosi (quanto al Protocollo) il coinvolgimento del medico competente per l’identificazione dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti guariti dall’infezione da COVID-19. Il documento dell’INAIL si spinge a suggerire, per le aziende in cui non è presente un medico competente, la nomina “di un medico competente ad hoc per il periodo emergenziale”. Altresì suggestiva è l’ipotesi di introduzione di una “sorveglianza sanitaria eccezionale” per i lavoratori di età maggiore di 55 anni, con ricorso a strumenti predittivi innovativi come i “test sierologici di accertata validità”.
Il nostro consiglio: affrettatevi a contattare il vostro responsabile della sicurezza al fine di attuare tutte le prescrizioni necessarie al fine di partire in completa sicurezza!
Lo Studio Cupo ricorda che la mancata attuazione dei protocolli che comporti livelli di protezione non adeguati determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.